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Infermiere di comunità, concluso a Udine il primo corso regionale

Obiettivo: formare circa 400 infermieri di famiglia o comunità

redazione redazione
28/06/2023
in Cronaca, Cultura, In Primo Piano, Notizie
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“Abbiamo una piramide che va ribaltata: per troppi anni abbiamo immaginato che la risposta di salute alla domanda del cittadino dovesse essere ancorata primariamente entro le strutture ospedaliere che invece hanno la funzione di gestire la situazione di emergenza e di acuzie. Con il risultato che le persone, le quali non hanno colpe, nel momento di qualsiasi tipo di bisogno raggiungono quelli che ritengono gli spazi più sicuri: il pronto soccorso e l’ospedale. E qui entriamo nel tema dell’appropriatezza, con richieste e conseguenti erogazioni di prestazioni in spazi sanitari deputati ad altro”.

Lo ha sottolineato l’assessore regionale alla Salute del Friuli Venezia Giulia Riccardo Riccardi, intervenuto questa mattina a Udine alla conclusione del primo corso regionale per infermieri di famiglia o comunità, in questa iniziale sessione dedicata agli infermieri formatori.

“Per dare una adeguata risposta di salute alla comunità dobbiamo abbattere muri precostituiti, mettere in discussione posizioni che, magari, definiscono il grado di qualcuno più importante rispetto a qualcun altro, intervenire su modelli consolidati, demolire ‘rendite di posizione’: è un po’ l’esperienza che abbiamo sviluppato durante la pandemia, quando abbiamo ragionato e agito non singolarmente ma mettendo ‘a sistema’ ospedali, pronto soccorso e terapie intensive” ha detto Riccardi.

“Il lavoro che abbiamo avviato per formare circa 400 infermieri di famiglia o comunità permette non solo di implementare le competenze professionali degli stessi infermieri ma rappresenta l’unica strada da percorrere per cominciare a ribaltare questa piramide, avvicinandoci al cittadino fisicamente, sul territorio dove vive, dando risposte di rassicurazione e gestendo localmente patologie prevalentemente croniche – ha spiegato Riccardi -. Il progetto va nella direzione di stare accanto al cittadino in una società che ha sostanzialmente modificato la sua struttura, che permette una vita più lunga ma segnata inevitabilmente da patologie croniche”.

“L’utilizzo della tecnologia, l’adozione di forme di procedura diverse e di regole differenti, ci possono consentire di rendere sostenibile una risposta di salute che in questo momento incontra delle difficoltà – ha aggiunto ancora Riccardi -. Il progetto dell’infermiere di famiglia o comunità parla di una scelta che è oggi è più che mai centrale: consentirà di incanalare la domanda e il bisogno delle persone in un percorso molto più appropriato, molto più ordinato, meno oneroso per il professionista, il sistema e i cittadini. Garantirà, di fatto, l’accessibilità a una domanda di salute”.

“L’infermiere di comunità sarà un importante pilastro per lo sviluppo della sanità territoriale, sia per l’assistenza alle persone che per la promozione della salute. Per istituire e certificare questa figura, in linea con il Decreto ministeriale 77/2022 di riorganizzazione della medicina territoriale, abbiamo avviato un percorso che porterà, entro il 2025, a rendere attivi sul territorio del Friuli Venezia Giulia 400 infermieri di comunità” ha dettagliato Riccardi. “Gli infermieri che oggi svolgono le funzioni di assistenza domiciliare saranno gli infermieri di famiglia o comunità, con un modello organizzativo diverso da quello che oggi, con l’attivazione di cosiddetti ‘nodi’ di infermieri di comunità, ovvero con attivazione di ambulatori di comunità, per un bacino territoriale di riferimento di 3.000 abitanti – ha spiegato a margine Riccardi -. L’infermiere sarà punto di riferimento per la comunità per l’assistenza infermieristica generale; sarà presente in modo connettivale nei diversi setting territoriali: ad esempio negli ambulatori, vicino al medico di medicina generale e all’assistente sociale, perché la prossimità fisica aiuta a realizzare la presa in carico e l’integrazione tra tutti i professionisti e tutti i servizi”. “Non sarà solo un infermiere che eroga prestazioni, ma si renderà ‘attivatore’ di vicinato, parrocchie e altre realtà di volontariato della comunità locale perché alla cronicità non può bastare soltanto una risposta prestazionale tecnica: occorre una presa in carico globale per offrire alle famiglie che hanno al loro interno pazienti portatori di patologie croniche una risposta a 360 gradi, anche con l’assistenza di tipo tutelare e relazionale” ha concluso l’assessore alla Salute.

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